di Davide Berruti e Sandro Mazzi,
per Fondazione Alexander Langer, Bolzano 2003
Introduzione
Negli ultimi anni si rilevano dei cambiamenti nella formazione alle missioni di pace che indicano spazi di collaborazione tra militari e civili. Prenderemo qui in considerazione le esperienze formative di entrambi, con l’intento di rilevare punti di contatto, evoluzioni e possibili occasioni di
sinergia costruttiva tra i due approcci. Ovviamente, per la brevità dello studio, non avremo pretese di esaustività. Cercheremo, piuttosto, di tracciare gli elementi più significativi, prendendo soprattutto in considerazione il periodo che inizia con la fine della guerra fredda.
Questo studio muove dal presupposto che sia necessaria una ridefinizione del nesso fra difesa, sicurezza e gestione dei conflitti. Qui, ci limitiamo ad osservare che, nelle strategie di politica estera, nazionale e internazionale, l’evoluzione del concetto di sicurezza non è stata accompagnata da una conseguente evoluzione di quello di difesa. La sicurezza, oggi diffusamente intesa in termini multidimensionali e globali, può essere assicurata solo proteggendo allo stesso tempo popolazione, ambiente e interessi collettivi: il lavoro per la coesione sociale diviene il fattore strategicamente più idoneo ad ottenerla. Riteniamo che in termini multidimensionali dovrebbe essere rivisitato anche il concetto di difesa, dando riconoscimento all’importante ruolo dei civili nella gestione delle crisi internazionali.
Procediamo con una precisazione di ordine terminologico: per difesa civile si intende “…il contributo attivo che i cittadini possono dare alla sicurezza del Paese nell’opposizione a tentativi di aggressione, invasione o infiltrazione da parte di Stati, gruppi o poteri esterni e nel rafforzamento della convivenza e delle istituzioni democratiche proprie di un paese, proteggendole dai rischi di un’implosione interna”. Per difesa militare si intende il tradizionale modo di intendere la difesa, ovvero utilizzando le strutture e gli strumenti militari. Per Corpi civili di pace occorre sottolineare quanto è ancora oggetto di dibattito: da un lato, esistono da molto tempo gruppi, “…espressione della società civile, costituiti da persone qualificate ed adeguatamente preparate ad intervenire in situazioni di crisi, con gli strumenti della difesa popolare nonviolenta e della gestione costruttiva dei conflitti, che esercitano funzioni di prevenzione, di interposizione e di diplomazia popolare”: si tratta di casi di Corpi civili di pace volontari e dal basso, non riconosciuti dalle istituzioni, né italiane, né internazionali. Dall’altro lato, da anni si lavora, soprattutto a livello europeo, per la realizzazione di un Corpo civile di pace, formato da professionisti, che intervenga con strumenti civili in situazioni di crisi: esso non esiste ancora. Il distinguo serve a sottolineare che i Corpi civili di pace sono ancora in fase di progettazione a livello istituzionale, ma che esistono numerose esperienze sufficienti per metterne a fuoco mansioni e compiti, tipo di preparazione e competenze.
Cercheremo innanzitutto di delineare come viene attualmente intesa la collaborazione civili/militari, focalizzandoci soprattutto sulle missioni di peacekeeping, quindi di tracciare la recente evoluzione dei rispettivi ambiti formativi. Infine, procederemo con una rassegna delle principali esperienze sul tema. Ogni volta, si cercherà di esaminare il punto di vista e la situazione specifica di civili e militari.