Nonostante la sempre maggiore attenzione che l’ONU dedica alla protezione dei civili durante le sue missioni di peacekeeping, rimane ancora difficile valutarne l’efficacia.Le missioni ONU infatti, non effettuano resoconti regolari relativi al loro ruolo di protezione e non vi è nemmeno una regolare e precisa documentazione sul quando e sul come la forza viene utilizzata per assicurare la protezione dei civili, o a chi la protezione è stata effettivamente garantita.
Una simile mancanza di sistematica documentazione non solo rende difficile valutare la portata e individuare i risultati di simili interventi, ma si porta inevitabilmente dietro numerosi dubbi e perplessità circa la reale efficacia delle operazioni ONU di protezione dei civili.
In questo scenario si inserisce la ricerca del prestigioso think thank svizzero Geneva Centre for Security Policy (GCSP) dal titolo “Great Expectations: UN Peacekeeping, Civilian Protection, and the Use of Force”.
Alan Noss, curatore delle ricerca, delinea il quadro dell’argomento e prova a rispondere ad una domanda chiave: come e quando l’ONU usa la forza per proteggere i civili e che lezioni pratiche sono state tratte da situazioni in cui la forza è stata utilizzata come arma di protezione?
Il saggio si basa sull’analisi di quattro casi di studio – Sierra Leone, Costa d’Avorio, Congo e Liberia – costruendo degli indicatori che mettono in relazione i flussi di rifugiati con la quantità di peacekeeper ONU. Le conclusioni che ne vengono tratte si muovo in bilico tra potenziali delusioni e grandi aspettative.