di Giorgio Giannini
Introduzione
In questo scritto desidero ricordare alcuni episodi che riguardano l’attività di pacificazione svolta da San Francesco di Assisi.
Il primo episodio, noto a tutti, è quello dell’incontro di San Francesco con il Sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil. Il Sultano è figlio del Sultano Safedino, fratello del famoso Saladino che riconquistò Gerusalemme nel 1187 togliendola ai Cristiani, ai quali consentì però di lasciare la città (mentre i Cristiani, quando l’avevano conquistata nel 1099, avevano massacrato gli abitanti mussulmani perché considerati “infedeli”).
Il secondo episodio, avvenuto in Abruzzo (provincia di Teramo) e sconosciuto anche a molti studiosi del francescanesimo, riguarda la soluzione da parte di San Francesco del contenzioso tra tre nobili locali per il possesso del feudo di Selva Gallicia vicino a Isola del Gran Sasso.
Il terzo episodio riguarda il racconto, noto a tutti, in cui San Francesco ha ammansito il lupo di Gubbio. Al riguardo alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi molto suggestiva (che mi ha colpito molto e che condivido), secondo la quale il lupo era probabilmente un brigante che angariava gli abitanti di Gubbio e che San Francesco aveva convinto a riconciliarsi con gli eugubini, i quali alla fine lo hanno accolto nella loro cittadina.
L’ultimo episodio riportato, noto probabilmente solo agli storici della Obiezione di coscienza al servizio militare, riguarda il rifiuto di portare le armi manifestato pubblicamente nella Piazza dell’Arengo di Rimini nel 1221 da circa 200 Terziari francescani (gli appartenenti al Terzo Ordine, fondato da Francesco nel 1211, e chiamati anche Frati della Penitenza). Un rifiuto analogo avviene anche a Faenza. In questo modo i Terziari francescani esprimono chiaramente non solo il rifiuto di portare le armi, ma anche la volontà di riconciliarsi con i nemici, che molto probabilmente sono gli appartenenti alla fazione dei Ghibellini (sostenitori dell’Imperatore nel contenzioso per l’investitura del Pontefice, sostenuto dai Guelfi). Questo fatto è probabilmente dovuto all’insegnamento di San Francesco che praticava la riconciliazione e la pacificazione.
San Francesco incontra il Sultano a Damietta, in Egitto (1219)
Nel 1217 il Papa Onorio III promuove la Quinta Crociata per liberare Gerusalemme, che era stata riconquistata nel 1187 dal famoso Sultano Saladino (i Crociati l’avevano conquistata nel 1099).
Nel 1218 i soldati cristiani sbarcano in Egitto ed assediano per terra e per mare la città portuale di Damietta sita nel delta del Nilo. Lo scopo è di sconfiggere i Musulmani e conquistare parte dell’Egitto, per poi ottenere in cambio la Terra Santa dal Sultano al-Adil (della dinastia ayyubbide che governa Egitto e Siria), chiamato Safedino e fratello di Saladino, il conquistatore di Gerusalemme nel 1187. Il Viceré d’Egitto Muhammad ibn Muhammad, figlio maggiore del Sultano al-Adil, guida la resistenza all’assedio.
Nel 1219, dopo la morte del padre Safedino, Muhammad diventa Sultano con il l’appellativo di al-Malik al-Kamil (“il Re perfetto”). Al-Malik al-Kamil ha più volte proposto la pace con i Cristiani, offrendo di restituire Gerusalemme, di ricostruirne le mura (abbattute dal fratello minore al-Muazzan) e di restituire la Vera Croce, usata per la crocifissione di Gesù Cristo. Purtroppo, tutte le proposte sono respinte con fermezza dal Legato pontificio (rappresentante del Papa e Guida Religiosa della Crociata) Pelagio Galvani, Benedettino portoghese, Cardinale e Vescovo di Albano.
Nella primavera 1219 Francesco decide di andare a Damietta per parlare con il nuovo Sultano e cercare di convertirlo al Cristianesimo, auspicando così che si spenga la guerra in corso da due anni. Il 24 giugno 1219 Francesco si imbarca dal porto di Ancona con Frate Illuminato (così chiamato perché è stato guarito dalla cecità dal Santo di Assisi) per andare in Egitto ed incontrare il Sultano a Damietta.
Francesco sbarca prima ad Acri, dove alcuni Francescani hanno fondato un piccolo convento e quindi riparte per l’Egitto. Qui giunto, chiede al Legato pontificio Pelagio Galvani di andare a Damietta per incontrare il Sultano. Il permesso gli viene concesso in seguito alle forti pressioni al Cardinale Galvani da parte di molti comandanti militari della Crociata.
Francesco si reca quindi a Damietta e il Sultano lo riceve con grande cortesia dato che gli viene presentato come un “uomo di Dio”, dedito alla preghiera. Infatti, Francesco veste un semplice saio con un cappuccio. Questo vestito, molto povero, in arabo si chiama suf e colui che lo indossa è un “uomo consacrato a Dio”. Pertanto, il Sultano non può non riceverlo ed ascoltarlo. L’incontro è documentato in cinque fonti cronistiche occidentali attendibili, anche se divergono in alcuni particolari, e in numerose fonti francescane. Inoltre, è riportato in una fonte epigrafica araba: un’iscrizione su una lapide funebre.
Sembra invece leggendaria la cosiddetta “Prova del fuoco” (o “Ordalia del fuoco”), raccontata nella Legenda Maior (IX, 8): Francesco propone al Sultano di entrare con i suoi Sacerdoti in un grande fuoco per conoscere quale Fede “si deve ritenere più certa e più santa”. Tutti i Sacerdoti musulmani si allontanano e il Sultano gli risponde “Non credo che qualcuno dei miei Sacerdoti abbia voglia di esporsi al fuoco o di affrontare la tortura per difendere la sua Fede”. Francesco allora propone di entrare nel fuoco da solo, a patto che il Sultano prometta di convertirsi nel caso in cui Francesco ne fosse uscito illeso. Il Sultano non accetta di convertirsi al Cristianesimo. Colpito dalla forte personalità di Francesco ed avendolo riconosciuto come un “santo uomo” per la sua sincera volontà di pacificazione e di riconciliazione tra Cristiani e Musulmani, il Sultano gli offre vari doni preziosi. Francesco rifiuta sdegnato, affermando di vivere in povertà. Inoltre, in qualche fonte è scritto che il Sultano, ammirando la “santità” di Francesco, gli offre di rimanere nella sua Corte, ma Francesco rifiuta.
L’episodio della “Prova del fuoco”, che testimonia la profonda fede di Francesco, è raffigurato nella scena undicesima (cm 230 x 270) del ciclo di 28 affreschi che rappresentano i fatti più importanti della vita del Santo, dipinti nella Basilica Superiore di Assisi, attribuiti a Giotto ed alla sua Scuola (fine del XIII secolo).
L’incontro tra Francesco ed il Sultano è inoltre raffigurato nella scena decima “La Prova del fuoco davanti al Sultano” del ciclo di affreschi sulla vita del Santo, dipinti nell’abside della Chiesa di San Francesco a Montefalco (paese vicino a Bevagna, in Umbria) da Benozzo Gozzoli verso la metà del XV secolo.
In seguito all’esperienza del suo incontro con il Sultano, Francesco ha voluto inserire una “raccomandazione” nel Capitolo 16, intitolato “Di coloro che vanno tra i saraceni e gli altri infedeli”, della Regola “non bollata” redatta nel 1221, poi riscritta ed approvata dal Papa nel 1223. È scritto che i Francescani saranno “come pecore in mezzo ai lupi”. Pertanto, devono essere “prudenti come serpenti e semplici come colombe”. Inoltre, i frati che vanno fra gli infedeli devono comportarsi in mezzo a loro in due modi: “Un modo è che non facciano liti o dispute … e confessino di essere cristiani”; l’altro modo è che “devono avere un atteggiamento mite e non devono fare ad essi alcuna proposta o richiesta, ma limitarsi a professare la fede cristiana”.
Nel 1229, dieci anni dopo l’incontro con Francesco, il Sultano incontra in Terra Santa un altro autorevole personaggio cristiano, l’Imperatore Federico II il quale pur avendo promosso la Sesta Crociata (1227-1229) è desideroso di trovare un accordo di Pace. Al riguardo Federico II e il Sultano stipulano un Trattato decennale, che prevede la restituzione di Gerusalemme e degli altri Luoghi Sacri ai Cristiani, con il divieto per i Musulmani e gli Ebrei di risiedervi. Purtroppo, il Trattato non è rinnovato alla scadenza; quindi, la Città Santa ritorna in possesso dei Musulmani.
San Francesco dirime la controversia per il possesso del feudo di Selva Gallicia a Isola del Gran Sasso (1216)
Nel 1216 l’Imperatore Federico II chiede a Francesco di dirimere la controversia per il possesso del Feudo di Selva Gallicia, che comportava frequenti conflitti, anche armati, tra i contendenti. Il Feudo è ubicato tra i paesi di Isola del Gran Sasso e Montorio. La controversia è tra i baroni Valesio Castiglioni di Penne, Palmerio Palmerii di Tossicia, Alessandro e Pompeo Orsini di Montorio.
Francesco, che si trova nella Terra di Lavoro in Campania (attuale provincia di Caserta), si reca in Abruzzo a Penne con il fedele compagno Bernardo Quintavalle di Assisi. Sono ospitati dal Vescovo Anastasio de Venantiis (nominato dal Papa Innocenzo III nel 1212), che ha conosciuto al Concilio di Roma, tenutosi nella Basilica di S. Giovanni in Laterano nel novembre 1215, dove si era recato per ottenere dal Papa Innocenzo III la conferma scritta della Regola dell’Ordine francescano, concessa verbalmente nel 1210.
Il Vescovo Anastasio, che aveva sognato l’arrivo di Francesco, si reca incontro a lui fuori dalla città. L’incontro avviene sulla Collina di Borgonuovo o di S. Antonio, poi rinominata dal Vescovo Collina di S. Francesco. Anastasio abbraccia con riverenza Francesco.
L’incontro viene raffigurato negli affreschi del Duomo di Penne e della chiesa del convento dei Frati Minori; purtroppo, gli affreschi sono andati perduti. L’incontro è anche raffigurato in un medaglione in basso rilievo, posto nella cappella del Duomo, in cui riposa il corpo del Vescovo.
Anastasio, in segno della sua amicizia con Francesco, gli dona una parte del terreno della collina in cui si sono incontrati per la costruzione di un cenobio (convento) francescano, che è realizzato in breve tempo. Si racconta che Francesco scava personalmente il pozzo del convento, sopra il quale è posta, come lapide ricordo, una tegola con le seguenti parole, incise con il proprio dito da Francesco: «Francesco poverello ha fabbricato questo pozzo». Questa lapide esisteva ancora nel 1700, conservata dal padre guardiano del convento, ma poi è andata perduta. L’antico cenobio francescano fu distrutto e saccheggiato nel 1438. Ricostruito nel Cinquecento, fu definitivamente chiuso ed abbandonato con la soppressione napoleonica degli Ordini monastici del 1809. I suoi resti, ancora visibili nel 1832, furono distrutti nel gennaio 1860 dalle truppe borboniche che li usarono per esercitarsi nel tiro dell’artiglieria.
Francesco chiede ai tre nobili in lite di incontrarsi sul luogo della controversia, cioè nel Feudo di Selva Gallicia. La mediazione si svolge secondo le modalità del Placito, regolato dalle leggi gotiche e longobarde: in caso di controversia sul diritto di proprietà delle terre o sui loro confini, le autorità incaricavano dei probiviri, cioè dei cittadini onorati e rispettati da tutti, di giudicare e di risolvere la controversia; i probiviri convocavano le parti in conflitto sul luogo della controversia o in campi pubblici; durante il giudizio, gli interessati potevano illustrare le proprie ragioni.
Francesco chiede ai nobili innanzitutto di abbracciarsi e di baciarsi, in segno di pace e di riconciliazione. Quindi esamina la loro controversia ed ascolta le loro ragioni. Riesce a comporre facilmente la controversia in modo che tutti siano ampiamente soddisfatti.
Per la sua positiva attività di pacificazione, Francesco chiede e ottiene dai tre nobili che ognuno costruisca un cenobio per l’Ordine francescano. Così, Valesio Castiglioni lo costruisce ad Isola del Gran Sasso; Alessandro e Pompeo Orsini a Montorio; Palmerio Palmerii a Tossicia.
I tre nobili si recano a Penne, dove soggiorna Francesco, per firmare solennemente il Contratto di pacificazione controfirmato da Francesco con la seguente scritta: «Io fra Francesco di Assisi, inutile ed indegno servo di Gesù Cristo, accetto e confermo quanto di sopra». Questo documento esisteva ancora nel 1766 nell’archivio del Marchese Castiglione di Valle Mendoza (meglio nota come Valle Siciliana) a Tossicia.
Il barone Valesio Castiglioni, come ulteriore ringraziamento a Francesco, convince il figlio Pompeo ad entrare nell’Ordine francescano, assumendo il nome di Tommaso.
Francesco parte da Penne e si reca a Guardiagrele, ospite del barone Napoleone Orsini che gli cede un terreno, fuori della cittadina (in località Campotrino), per la costruzione di un cenobio francescano. La moglie del barone, Tommasa Pallearia, fa costruire un convento francescano nella cittadina di Guardiagrele. Inoltre, un figlio diventa francescano, assumendo il nome di Fra Leone.
In seguito, Francesco si reca a Palena, a Castelvecchio Subequo, a Celano, dove fonda altri cenobi francescani.
Nel 1222, durante il suo viaggio dalle Marche verso la Puglia, è probabile che Francesco abbia di nuovo soggiornato a Penne allora la città più importante dell’Abruzzo, anche se il Vescovo Anastasio era morto alla fine del 1216. Questo secondo soggiorno di Francesco a Penne non è documentato.
San Francesco ammansisce il lupo di Gubbio
Il Capitolo XXI dei Fioretti di San Francesco
Il Capitolo XXI dei Fioretti di San Francesco (scritti in ‘volgare’, probabilmente dal frate Giovanni da Marignoli nella seconda metà del Trecento basandosi sugli Actus beati Francisci et sociorum eius; scritti in latino dal frate Ugolino da Montegiorgio tra il 1327 ed il 1337) narra l’incontro, nel 1206, di San Francesco a Gubbio (dove il giovane aveva diversi amici, tra cui Federico Spadalonga che era stato prigioniero insieme con lui nelle carceri di Perugia), con un lupo “grandissimo, terribile e feroce il quale non solamente divorava gli animali, ma eziandio gli uomini” e che pertanto terrorizzava gli abitanti che non uscivano più dalla città dato che nessuno, pur armato, era riuscito ad ucciderlo.
Francesco decise di uscire da Gubbio e di andare incontro al lupo, benché gli abitanti della città glielo avessero sconsigliato, dopo aver fatto il segno della “santissima Croce”, insieme con i suoi compagni; questi però, impauriti, si fermarono vicino alla città lasciando che egli proseguisse da solo.
Intanto molti cittadini seguivano da lontano quello che Francesco stava facendo. Videro il lupo che andava “incontro a san Francesco con la bocca aperta”. Mentre si avvicinava, Francesco (giunto – secondo la leggenda – vicino alla piccola chiesa della Vittorina, ancora esistente in via della Vittorina, all’angolo con via Pierluigi da Palestrina) gli fece “il segno della santissima Croce”, lo chiamò e gli disse: «Vieni qui, frate lupo; io ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male né a me, né a persona». Subito, il lupo chiuse la bocca, smise di correre, si avvicinò “mansuetamente, come un agnello” a Francesco sdraiandosi ai suoi piedi. Allora Francesco gli disse: «Frate lupo, tu fai molti danni in queste parti e hai fatti grandi malefici, guastando e uccidendo le creature di Dio … non solamente hai uccise e divorate le bestie, ma hai avuto ardire d’uccidere gli uomini … la gente grida e mormora di te e tutta questa terra t’è nemica. Ma io voglio, frate lupo, far la pace fra te e costoro; sicché tu non gli offenda più ed eglino ti perdonino ogni passata offesa e né li uomini né li cani ti perseguitino più».
Dopo che Francesco ebbe così parlato, il lupo “con atti di corpo e di coda e di occhi e con inchinare di capo” mostrò di accettare quello che egli aveva detto. Allora Francesco gli disse: «Frate lupo, io ti prometto che io ti farò dare le spese continuamente, mentre che tu viverai, dagli uomini di questa terra, sicché tu non patirai più fame; imperciocché io so bene che per la fame tu hai fatto ogni male. Ma voglio, frate lupo, che tu mi imprometta che tu non nocerai mai a nessuna persona umana, né ad animale». Il lupo, chinando il capo, fece un chiaro segno di promessa. Francesco disse: «Frate lupo, io voglio che tu mi facci fede di questa promessa, acciocch’io me ne possa bene fidare». Distese quindi la sua mano verso il lupo, il quale alzò la zampa e la pose sulla mano di Francesco. Francesco disse: «Frate lupo, io ti comando nel nome di Gesù Cristo che tu venga ora meco … e andiamo a fermare questa pace al nome di Dio». Francesco si incamminò per ritornare in città ed il lupo lo seguiva come un agnello mansueto.
Gli abitanti di Gubbio, che avevano visto quanto era accaduto, si meravigliarono moltissimo. La notizia si diffuse velocemente in città e tutti gli abitanti andarono nella piazza per vedere Francesco con il lupo. Il Santo fece una predica alla popolazione, invitando tutti a fare penitenza per i loro peccati in modo che Dio li avrebbe liberati non solo dal lupo ma anche dal fuoco dell’Inferno. Poi disse agli abitanti: «Udite, fratelli miei: frate lupo m’ha promesso di far pace con voi e di non offendervi mai in cosa nessuna; e voi gli promettete di dargli ogni dì le cose necessarie; ed io v’entro mallevadore per lui, che ’l patto della pace egli osserverà fermamente». Dato che Francesco si era fatto garante della bontà del lupo, tutti i cittadini di Gubbio promisero di nutrirlo. Allora Francesco disse al lupo: «E tu, frate lupo, prometti d’osservare il patto della pace, che tu non offenda né gli uomini, né gli animali, né nessuna creatura?». Il lupo si inginocchiò e chinò il capo, dimostrando “con atti mansueti di corpo, di coda e d’orecchi”, di volere mantenere fede al “patto della pace”. Allora Francesco gli disse: «Frate lupo, io voglio che come tu mi desti fede di questa promessa fuori della porta, così dinanzi a tutto il popolo mi dia fede della tua promessa e che tu non mi ingannerai della mia promessa e malleveria, ch’io ho fatta per te». Il lupo alzò la sua zampa e la pose sulla mano di Francesco. Vedendo questa scena, tutti gli abitanti incominciarono a lodare ed a benedire Dio, che aveva mandato a Gubbio Francesco che li aveva liberati dal lupo crudele.
Il lupo visse due anni a Gubbio come un animale domestico, entrando anche nelle case, senza fare male ad alcuna persona, e senza che nessuno lo facesse a lui. Fu nutrito con affetto dalla popolazione ed anche nessun cane gli abbaiò contro. Dopo due anni, il lupo morì di vecchiaia ed i cittadini di Gubbio ne furono molto rattristati.
Chi era veramente il lupo?
Per secoli si è creduto fermamente che San Francesco avesse ammansito un lupo crudele, ed anche antropofago (mangiatore di uomini), che terrorizzava la popolazione di Gubbio. A sostegno di questa ipotesi, vicino alla chiesa di San Francesco della Pace, in via Savelli Della Porta, dove secondo la leggenda morì il lupo, fu trovata nel 1873 una piccola tomba chiusa con una lastra di pietra contenente lo scheletro di un animale, che il veterinario Antonio Spinaci affermò trattarsi di un canide.
Qualche studioso ha anche ipotizzato che il lupo fosse in realtà una lupa, anche per il fatto che questo animale femmina era presente nella “leggenda della fondazione” di alcune città, come Roma fondata dai gemelli Romolo e Remo che furono trovati da una lupa sulla riva del Tevere; peraltro, la leggenda narra anche che un picchio verde aveva portato del cibo ai due gemelli.
Per gli studiosi Protestanti, invece, la storia del lupo è una “pia leggenda”, senza alcun fondamento storico.
Più realistica appare invece l’ipotesi, accreditata dagli studi più recenti, secondo la quale il lupo sarebbe stato un crudele brigante, che terrorizzava gli abitanti di Gubbio rapinando tutti quelli che entravano o uscivano dalla città o imponendo una forte tassazione sulle merci in arrivo o in partenza, e punendo con ferocia chiunque osava ribellarsi alle sue pretese. Francesco, dunque, convinse questo brigante a “fare pace” con gli abitanti di Gubbio, ottenendo di essere da loro nutrito in cambio della rinuncia alle sue angherie. Questa ipotesi è avvalorata dal fatto che Francesco svolgeva spesso l’attività di mediazione e di pacificazione tra due o più parti in lite ed in controversia (dopo di lui molti Francescani hanno continuato a farla).
I Terziari francescani rifiutano a Rimini e a Faenza di portare le armi (1221)
Nel 1221 a Rimini, i Terziari francescani (appartenenti al Terzo Ordine, fondato da Francesco d’Assisi nel 1211, chiamati anche Frati della Penitenza) rifiutano pubblicamente l’invito del Rettore (Podestà) di prestare giuramento di fedeltà perché questo comportava il dovere di portare le armi e quindi di combattere e di uccidere. Essi, infatti, dichiarano di “non poter né combattere né portare le armi, sia di offesa che di difesa: perché vogliono la pace con gli uomini e con Dio, conquistandola con opere di bontà, trasformando il male, che è nel Mondo, in bene”. Per questo loro rifiuto sono imprigionati.
Il Papa Onorio III interviene in favore loro e dei Terziari della vicina Faenza, che avevano manifestato lo stesso rifiuto, promulgando il 16 dicembre 1221 la Bolla “Significatum est”. Chiede al Vescovo di Rimini Bonaventura Trissino (perché la Diocesi di Faenza in quel momento non aveva il Vescovo Titolare) di attivarsi in modo che i Frati della Penitenza, cioè del Terzo Ordine, non fossero costretti dai Rettori (Podestà) di Faenza, di Rimini e delle altre città vicine a prestare giuramento di fedeltà per poi portare le armi e prestare servizio nella Milizia. La Bolla prevedeva per i Terziari francescani una specie di Servizio civile, in cui dovevano svolgere attività di assistenza e di manutenzione nell’ambito cittadino.
I Terziari vengono quindi liberati. In questo modo si riconobbe ad essi, che pur vivendo allo stato laicale obbedivano alla Regola promulgata da San Francesco, il diritto di rifiutare di portare le armi, di combattere e di uccidere, volendo invece risolvere tutti i conflitti, da quelli interpersonali a quelli tra i Comuni e gli Stati, con la Nonviolenza come aveva insegnato San Francesco. Al riguardo ricordiamo che in quel periodo i Comuni erano in uno stato endemico di guerra civile, alimentata dalla lotta tra le opposte fazioni dei Guelfi (sostenitori del Papa) e dei Ghibellini (sostenitori dell’Imperatore).
La notizia del rifiuto dei Terziari di Rimini di portare le armi si trova alla pag. 286 del terzo volume della Storia di Rimini, scritta da Luigi Tonini e pubblicato nel 1862, in cui si fa riferimento alla Bolla pontificia promulgata da Onorio III.
Il fatto è inoltre riportato nella Relazione con la quale l’on. Carlo Fracanzani (DC) il 30 settembre 1971 presentò alla Camera dei deputati la Proposta di legge per il riconoscimento del diritto all’Obiezione di coscienza al servizio militare. La Legge, approvata dal Parlamento l’anno seguente e promulgata dal Presidente della Repubblica il 15 dicembre 1972 con il numero 772, era purtroppo molto restrittiva dato che l’Obiezione non era riconosciuta come “diritto”, ma era una “concessione” elargita dal Ministero della Difesa, che peraltro doveva sindacare, con una apposita Commissione, la bontà delle motivazioni addotte dai giovani “arruolati” per rifiutare di portare le armi. Inoltre, il Servizio Civile Sostitutivo del Servizio Militare era più lungo di ben otto mesi.
Bibliografia
Padre Costantino Baiocco, Cronaca serafica ovvero ricerche storiche su la venuta di S. Francesco di Assisi in Penne. Fondazione e vicende dei cinque Conventi del suo Ordine. Cenni biografici d’alcuni illustri religiosi minoriti della medesima città pel P. Costantino Baiocco di Caporciano, Minore Riformato, Tipografia Silvio Valeri, Penne 1888.
Giorgio Giannini, 800 anni fa San Francesco passò nella Valle del Fino, Il Fino (Bisenti – Teramo), n. 67, marzo 2015
Giorgio Giannini, San Francesco pacificatore sulla controversia per il possesso del feudo di Selva Gallicia, InStoria (rivista online), n. 136, aprile 2019
Giorgio Gianini, Chi era il lupo ammansito a Gubbio da San Francesco? sabinamagazine.it (rivista online), 17 aprile 2020
Giorgio Giannini, San Francesco pacificatore, abitarearoma.it (rivista on ine), 3 ottobre 2022
Giorgio Giannini, I terziari francescani rifiutano nel 1221 a Rimini e Faenza di portare le armi, abitarearoma.it (rivista online), 14 aprile 2023
Giorgio Giannini, San Francesco incontra il Sultano a Damietta (Egitto) nell’estate 1219, abitarearoma.it (rivista online), 11 maggio 2023